Debito globale oltre i 100.000 miliardi di dollari: perché l’austerity non scatena sempre proteste nei Paesi emergenti

Il debito pubblico mondiale ha toccato 102.000 miliardi $. Secondo Coface, le politiche di austerità non generano sempre tensioni sociali, ma dipendono da disuguaglianza e governance.

7/21/20252 min read

Un debito record e la nuova ondata di austerità

Nel 2024 il debito pubblico globale ha superato i 102.000 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto al 2010.
Il fenomeno è particolarmente evidente nei Paesi emergenti, dove il debito cresce al doppio della velocità rispetto alle economie avanzate.

Il ritorno a politiche di austerità e consolidamento fiscale — con tagli alla spesa e aumenti delle tasse — è ormai la risposta dominante per contenere deficit e inflazione, in un contesto segnato da tassi d’interesse elevati, dollaro forte e rendimenti sovrani in crescita.

Austerità e tensioni sociali: un legame meno scontato del previsto

L’analisi Coface smentisce un luogo comune: le politiche di austerità non generano automaticamente proteste o disordini sociali.
Laddove le istituzioni sono solide e la popolazione percepisce trasparenza, le tensioni tendono addirittura a diminuire dopo l’avvio dei programmi di aggiustamento.

Nei Paesi con elevata disuguaglianza o governance fragile, invece, la situazione cambia:

  • In America Latina, tagli e riforme fiscali provocano spesso scioperi e manifestazioni (come in Argentina o Ecuador).

  • In Africa e Medio Oriente, l’austerità è associata a una riduzione delle proteste, probabilmente per effetto di sistemi politici più autoritari o di un diverso contesto sociale.

Quando la politica economica diventa miccia sociale

Dal 2010, i casi di proteste anti-governative si sono moltiplicati, spinti da crisi sanitarie, inflazione e polarizzazione politica.
Eppure, secondo Coface, non è l’austerità in sé a innescare le rivolte, ma il modo in cui viene attuata:

  • Aumenti delle imposte in contesti di forte disuguaglianza tendono a generare malcontento.

  • Tagli di spesa, se accompagnati da riforme credibili, possono invece ridurre la sfiducia e ristabilire equilibrio.

  • Nei Paesi con elezioni imminenti, la probabilità di proteste cresce, segno che la politica amplifica le tensioni.

L’interpretazione di Coface: austerità come “valvola di sfogo”

Il rapporto evidenzia due letture chiave:

  1. Reazione psicologica – dopo anni di crisi economica, i cittadini possono percepire i piani di aggiustamento come un segnale di svolta, non solo di sacrificio.

  2. Shock e assuefazione – tagli drastici e simultanei possono generare apatia, piuttosto che protesta, specie dove le strutture sociali sono deboli o la priorità è la sopravvivenza quotidiana.

Il nuovo rischio politico nei Paesi emergenti

Il Political Risk Index di Coface mostra che tra il 2008 e il 2024 l’87% dei Paesi emergenti ha registrato un aumento delle tensioni sociali e politiche.
Le aree più esposte sono:

  • America Latina, per disuguaglianze e instabilità politica;

  • Africa subsahariana, per inflazione alimentare e crisi valutarie;

  • Asia emergente, dove l’aumento del debito in valuta estera amplifica il rischio finanziario.

Nonostante tutto, il legame tra austerità e proteste non è universale: dipende dal livello di reddito, dalla fiducia nelle istituzioni e dal grado di democrazia.

Conclusione: l’austerità non è sempre sinonimo di instabilità

L’analisi Coface invita a guardare oltre le semplificazioni.
Nei Paesi con istituzioni solide, la disciplina fiscale può ridurre il rischio di crisi; dove regnano disuguaglianza e corruzione, la stessa misura può far esplodere tensioni.

In un mondo con un debito record e risorse pubbliche sempre più scarse, la qualità della governance e la fiducia sociale diventano gli elementi decisivi per la stabilità economica e politica.

👉 Leggi l’articolo completo: Austerity e debito globale – Coface